sabato 14 aprile 2012

i registi 11 - Sergio Martino

SERGIO MARTINO
Un regista per tutte le stagioni



Nella meritoria opera di riscoperta e recupero di quel ricco e variegato patrimonio cinematografico e culturale italiano che è stato il “cinema di genere” non ha forse ancora goduto dell’attenzione critica che merita il nome di Sergio Martino, prolifico regista affacciatosi alla ribalta cinematografica all’inizio degli anni settanta che pur non possedendo forse particolari doti di personalità si è dimostrato capace di affrontare con solida e consumata abilità professionale tutte le sfumature del cinema popolare del tempo, realizzando pellicole di grande ritmo e forza visiva.

La sua versatilità gli ha permesso di affrontare con disinvoltura e notevoli risultati tutti i generi in voga negli anni settanta, a partire dal thriller argentiano (Lo strano vizio della signora Wardh, La coda dello scorpione, Tutti i colori del buio, Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho le chiavi e soprattutto I corpi presentano tracce di violenza carnale, piccolo oggetto di culto negli Stati Uniti, dove è conosciuto con il titolo di Torso) per proseguire con il poliziottesco (dove ha dimostrato di essere uno dei pochi autori interessati all’aspetto sociologico e politico delle trame poliziesche, con film come Milano trema: la polizia vuole giustizia, La polizia accusa: il servizio segreto uccide, La città gioca d’azzardo e Morte sospetta di una minorenne) fino all’avventuroso (con la trilogia La montagna del Dio cannibale, L’isola degli uomini pesce e Il fiume del grande caimano), senza dimenticare la sua lunga militanza nella commedia sexy e di costume e nella fiction televisiva, protrattesi fino a pochissimi anni fa.

Purtroppo il regista non ha avuto invece la possibilità di dedicarsi con continuità al western, poiché quando ha iniziato la sua carriera cinematografica il filone stava già imboccando la sua fase discendente, e, oltre a firmare la sceneggiatura di Per 100.000 dollari t'ammazzo di Giovanni Fago, ha consegnato al genere solo due pellicole, entrambe di ottima fattura.

1970 ARIZONA SI SCATENÒ... E LI FECE FUORI TUTTI di Sergio Martino con Anthony Steffen, Rosalba Neri, Aldo Sambrell, Roberto Camardiel, José Manuel Martín, Raf Baldassarre, Gildo Di Marco


Dei due western girati dal solidissimo Sergio Martino tutti si ricordano il secondo, il tardo e crepuscolare Mannaja con Maurizio Merli, ma probabilmente questo suo primo, dimenticato, "spaghetti" è decisamente meglio, molto più compatto e divertente. Rappresenta il ritorno, per una volta non truffaldino, del personaggio di Arizona Colt, protagonista dell'omonimo film, una delle pellicole migliori con Giuliano Gemma. Ma visto che al posto dell'atletico e sarcastico Gemma c'è il marmoreo e statico Anthony Steffen ci troviamo di fronte ad un personaggio molto diverso. L'Arizona Colt di questo seguito è un po' più straccione, un po' meno cinico, molto più indolente e pigro, tanto che sembra prefigurare il personaggio di Trinità. Steffen al solito pare fatto di legno ed ha un' unica espressione, ma compensava i suoi molti limiti recitativi con un'adeguata aderenza fisica ai ruoli che gli assegnavano. In questo film non solo funziona, ma porta a casa una delle sue prove migliori. Dal primo film torna invece il panciuto Caramadiel nel ruolo di Doppio Whiskey, senza più berretto alla Davy Crockett, ma più allegramente alcolizzato che mai. La scena in cui sopravvive a delle ferite mortali scolandosi decine di bottiglie di whiskey non la consiglieremo come pubblicità progresso contro l’alcolismo. Dalla pellicola con Gemma torna anche la sempre conturbante Rosalba Neri, e anche stavolta ci lascia le penne in modo piuttosto brutale. Al posto di Fernando Sancho c'è invece il più misurato Aldo Sambrell, che disegna un cattivo meno folcloristico, ma bastardo e carogna al punto giusto.


Il film sconta una trama abbastanza insignificante, che non suscita grandi interessi, ma nonostante gli evidenti limiti di budget è un film girato molto bene, con una regia ricca di idee e invenzioni. La prima parte ricalca il tono del film con Gemma, riproponendo lo stessa cinica miscela di violenza e commedia. Carina tutta la scena dell’impiccagione in piazza, con un Arizona imperturbabile che si fa impiccare sorridendo e poi se ne va in giro per la città come se niente fosse. Ma è l’ultima mezzora la più interessante, con una imprevista svolta nel melodrammatico e un'atmosfera che si fa triste e violenta. Doppio Whiskey viene massacrato,  Arizona viene torturato e gli uccidono la donna davanti agli occhi. Molti personaggi rivelano delle sfumature insospettate, dell’ambiguissimo personaggio della Neri che fa una gran morte, alla macchietta interpretata del bravo caratterista strabico Gildo Di Marco, che alla fine si scopre essere un personaggio molto più umano e malinconico del previsto. 
Contagiosa la musica di Bruno Nicolai, anche se decisamente troppo allegra in alcuni momenti.

1977 MANNAJA di Sergio Martino, con Maurizio Merli, John Steiner, Donal O'Brien, Sonja Jeannine, Philippe Leroy, Martine Brochard, Enzo Fiermonte


Bel western ecologista diretto quasi come un horror dal bravo Sergio Martino, regista che darà il meglio di sé nel thriller e nel poliziesco.
E’ anche l’unico spaghetti western interpretato dall'eroe di tanti polizieschi Maurizio Merli.
Purtroppo arriva al genere troppo tardi, quando è già morto e quasi sepolto. Il film, infatti, è già un post-western, girato sull’onda del (relativo) successo di Keoma (da quel film arrivano direttamente anche i fratelli De Angelis, autori di tante colonne sonore dei film di Spencer & Hill).
Il film è stato girato nel villaggio western, ormai fatiscente, di Cinecittà e nel Gran Sasso, ma il mestiere di Martino riesce a valorizzare questi scenari, rendendoli un valore aggiunto al fascino del film.


Antonio Bruschini lo ha definito un western medioevale, "per l’atmosfera apocalittica, i paesaggi devastati, nebbiosi e fangosi e il look dei personaggi, più simili a cavalieri medioevali che non ai classici pistoleri della frontiera".
La pellicola è indubbiamente famosa e "di culto" anche per le scene di sadismo e violenza (il Morandini lo liquida così: "sagra sadica di violenza efferata, vietato ai minori di 18 anni, una volta tanto a ragione"). Da antologia in particolare la scena iniziale, dove l’accetta di Merli mozza la mano a un ricercato (il grande Donal O’Brien) dopo un inseguimento nelle paludi.
Il personaggio è stato omaggiato dal regista americano Robert Rodriguez nel fake trailer di Grindhouse - Planet Terror e poi con il film Machete.

Mauro Mihich & Tommaso Sega

2 commenti:

  1. Ciao, sono appena arrivato. Complimenti per il blog: un universo da scoprire. Ma, a proposito di registi italiani tra l'onesto e l'ambiguo, cercavo Quien Sabe di Damiani, non c'è o non l'ho saputo trovare?

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    1. Ciao e benvenuto. Quien sabe per il momento ancora non c’è, ma una scheda su Damiani, regista purtroppo più interessato al "cinema civile" che al western, è prevista a breve. Stay tuned! ;)

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