lunedì 25 giugno 2012

i film 38 - Io grande cacciatore



1979 IO, GRANDE CACCIATORE (Eagle's Wing)  
di Anthony Harvey, con Martin Sheen, Sam Waterston, Harvey Keitel, Stéphane Audran, John Castle, Caroline Langrishe

Tardo e bellissimo western lirico e paesaggistico, diretto da Anthony Harvey, montatore (per Kubrick) e regista britannico di raffinata eleganza.
Il punto di vista adottato dall’autore sul genere è del tutto originale, soprattutto per la collocazione storica in un West primordiale, precedente alla nascita dei miti (i riferimenti più immediati sono forse a Corvo rosso non avrai il mio scalpo), messa singolarmente in contrasto con l’ambientazione classica nei deserti messicani (il film è stato girato nei dintorni di Durango, in zone peckinpahiane).



La pellicola è del tutto atipica anche per l’esiguità dei dialoghi e la pochissima violenza, oltre che per un montaggio strano e ipnotico, che sovrappone le immagini in maniera piuttosto libera e non sempre consequenziale.

La trama è incentrata sul duello tra un cacciatore di pellicce bianco (Martin Sheen, reduce da Apocalyse Now) e un indiano comanche (Sam Waterston) per il possesso di un bellissimo stallone bianco, che diviene metafora del materialismo e della brama di possesso da parte dei bianchi e di trascendenza spirituale per i pellerossa, e che si chiude con una lezione di vita ai primi da parte di questi ultimi.
Il titolo italiano cita proprio la frase finale “Tu piccolo uomo bianco, Io grande cacciatore”, mentre l’originale Eagle's Wing si riferiva più semplicemente al nome del cavallo.



Il film inizia su ritmi lenti e contemplativi, per poi vivacizzarsi nell’ultima parte con un crescendo emozionante, e non mancano inserti onirici e metafisici, con funerali indiani, preti cattolici, missioni messicane, una diligenza che scorta un carro funebre e quattro donne, tra cui una bionda irlandese (la bellissima Caroline Langrishe), che viene rapita dal comanche per poi essere liberata in un finale altamente simbolico.
E’ chiaro come la sceneggiatura di John Briley, premio Oscar per Gandhi, abbia delle ambizioni e voglia farsi allegoria su concetti come l’incontro/scontro tra culture diverse, la contrapposizione tra tradizioni millenarie e l’avanzare del progresso, l’inseguimento dei sogni e la ricerca della felicità, il desiderio di possesso e la brama di ricchezza, e non mancano nemmeno scoperte metafore religiose.



Molto riuscita la raffigurazione dei pellerossa, tutti circondati da un'aurea metafisica e con il corpo coperto di piumaggio.
La grande e suggestiva fotografia di Billy Williams incornicia magnificamente la bellezza primitiva della natura selvaggia e incontaminata.
C’è anche Harvey Keitel, ma lo fanno fuori dopo nemmeno un quarto d’ora.

 

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