venerdì 22 marzo 2013

i registi 23 - Umberto Lenzi

UMBERTO LENZI
L’uomo dei mille generi



Se durante una carriera cinematografica lunga 35 anni e ben 65 film Umberto Lenzi (Massa Marittima, 1931), malgrado l’immancabile ammirazione di Tarantino, non è mai riuscito a guadagnarsi la patente di Maestro, nessuno gli potrà sicuramente togliere l’attestato di cineasta veloce, versatile e trasversale, pronto a cavalcare qualunque genere saliva alla ribalta nel ribollente mare magnum del cinema di genere italiano degli anni sessanta, settanta e ottanta.
Lo troviamo quindi di volta in volta buttarsi disinvoltamente nel thriller alla Dario Argento e in quello sexy alla Guerrieri, nel noir alla Di Leo e nel poliziottesco alla Castellari, nell’horror-splatter alla Fulci e perfino nell’infame cannibal-movie per stomaci forti alla Deodato. Una specie di mercenario della pellicola che ha attraversato una moltitudine di generi nei quali non si è forse mai distinto per originalità, ma senza dubbio lo ha fatto per professionalità.
Nonostante una carriera diseguale e con molti titoli francamente esecrabili, nei suoi risultati più riusciti – pensiamo soprattutto al poliziesco, nel quale ha stretto un fruttuoso connubio con Tomas Milian (con film come Milano odia, la polizia non può sparare, Napoli violenta o La banda del gobbo), e all’horror-gore – ci sentiamo infatti di riconoscere a Lenzi una spiccia e viscerale energia nella messa in scena, tale da donare a pellicole tutto sommato dalla forte connotazione commerciale una grezza ma riconoscibile forza stilistica ed espressiva, esplicitantesi spesso in situazioni crudeli e scene di violenza molto compiaciute.
Al western, genere al quale il regista non era interessato e probabilmente nemmeno versato, ha contribuito con due anonime pellicole senza infamia e senza lode girata una di seguito all'altra, che non hanno lasciato nessuna traccia nel genere.



1968 TUTTO PER TUTTO
di Umberto Lenzi, con Mark Damon, John Ireland, Fernando Sancho, Eduardo Fajardo, Raf Baldassarre, Mónica Randall, Spartaco Conversi, Armando Calvo, José Torres, Tito García, Frank Braña

Un giovane pistolero e un anziano bounty killer sono impegnati in una caccia al tesoro, composto da 200.000 dollari in lingotti d’oro, e tra un reciproco sgambetto e l’altro devono fare fronte comune contro un bandito messicano che con la sua banda vuole impossessarsene.



Lenzi ha sempre dichiarato di essere stato poco interessato al western (magari per giustificare i risultati poco convincenti) e si vede: il film è sull’anonimo andante. Non una pellicola indecente, perché un po’ di azione c’è, grazie anche a una sceneggiatura abbastanza strutturata, imperniata su una caccia a un tesoro in lingotti d’oro, e si lascia vedere senza vergogna, ma il tutto è legnoso, innaturale, con dialoghi pomposi e un ritmo da sceneggiato televisivo.
Non c’è assolutamente nulla, insomma, della modernità con cui Leone aveva rivoluzionato il genere, se non la disinvoltura nell’uccidere dei protagonisti e il cospicuo numero di morti ammazzati, cose che stridono ancora più con l’aria di imbalsamazione del prodotto.



Il regista riesce addirittura nell’impresa di far sfigurare un grande attore del western classico come John Ireland, quanto mai sottotono nel ruolo di un bounty killer soprannominato fumettisticamente “vecchio gufo”. Ed è pochissimo convincente anche Mark Damon, che cerca invano di replicare il personaggio furbo, venale e svelto con la pistola del Faccia d’angelo di Giuliano Gemma (anche il doppiatore è lo stesso). Dove Gemma era brillante, Damon è solo antipatico.
A salvare un po’ il tutto ci pensa il nutrito cast di veterani del western italiano: Fernando Sancho (che interpreta a memoria il solito ruolo del capobanda messicano), Eduardo Fajardo (inedito invece nella parte del bandito con poncho e sombrero), Raf Baldassarre, José Torres, Tito García, Frank Braña e molti altri.

Buona la fotografia di Alejandro Ulloa. Non male nemmeno la colonna sonora di Marcello Giombini.
Confessiamo che la cosa che abbiamo trovato più notevole, però, è la ragazza messicana interpretata da Mónica Randall (attrice spagnola presenza fissa in molti western girati in Almeria, vedi ad esempio Sole rosso).



1968 UNA PISTOLA PER CENTO BARE
di Umberto Lenzi, con Peter Lee Lawrence, John Ireland, Piero Lulli, Eduardo Fajardo, Gloria Osuna

Un reduce della Guerra di Secessione, testimone di Geova e pacifista, diventa pistolero per vendicare la morte dei genitori, uccisi da quattro banditi. Dopo aver mandato all’altro mondo i primi tre si allea con un predicatore per far fuori il quarto, che con la sua banda stringe d’assedio un paese, ma la resa dei conti finale riserverà alcune sorprese.



Senza infamia e senza lode. Che Lenzi (al suo secondo e ultimo western) fosse poco interessato al genere lo si capisce lontano un miglio: il film ha l'aria del compitino corretto ma senz'anima. Peccato perché il protagonista, un Testimone di Geova condannato ai lavori forzati per il rifiuto ad imbracciare le armi durante la Guerra Civile, era potenzialmente interessantissimo. Nel giro di qualche minuto però viene tramutato nel consueto pistolero in cerca di vendetta visto in centinaia di epigoni. La mano del regista toscano si riconosce soltanto nella sequenza dell'evasione notturna di un gruppo di pazzi, girata come fosse un thriller, con un incredibile Fajardo nei panni di uno psicopatico che si diverte a spaccar teste con una scure e un Victor Israel strabico e violentatore. Il resto non va al di là dell'ordinaria amministrazione.



Bravo John Ireland (ottimamente doppiato dal grande Renato Turi) nelle vesti di un poco raccomandabile predicatore. Girato, come il precedente, in Spagna nei dintorni di Madrid, nelle location rese famose da Per un pugno di dollari. Bella fotografia di Ulloa, anonimo commento musicale di A. F. Lavagnino.
Trascurabile, in definitiva.

M. Mihich & P. D’Andrea

1 commento:

  1. Visto solo il secondo, in effetti niente di che. E credo proprio per colpa della scarsa verve di Lenzi, perché gli spunti interessanti non sarebbero mancati.

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