martedì 9 aprile 2013

i film - Il ritorno dei magnifici sette



La prima grossa e convinta produzione western americana girata in Spagna fu proprio il sequel di un film che aveva avuto un'enorme influenza sulla nascita e l'estetica degli "spaghetti", I magnifici sette di John Sturges del 1960, noto remake in chiave western de "I sette samurai" di Kurosawa. Per quanto non privo di spunti interessanti il seguito non lo si può definire particolarmente brillante, ma fissò alcuni elementi che poi torneranno spesso nei western euro-americani: l'ambientazione in un Messico folkloristico e stereotipato, il commando di uomini impegnati in un'impresa disperata, spettacolari sequenze d'azione vicine all'estetica dei film bellici, la presenza di attori come Fernando Rey, Julián Mateos, Elisa Montés e lo stesso Brynner, che saranno tra i volti più ricorrenti di questo tipo di produzioni.

1966 Il ritorno dei magnifici sette (Return Of the Seven)

di Burt Kennedy con Yul Brynner, Robert Fuller, Julián Mateos, Warren Oates, Claude Akins, Elisa Montés, Fernando Rey, Emilio Fernández

Chico, il giovane peone dei magnifici sette originali, viene sequestrato insieme a tutti gli uomini del suo villaggio. Il rapitore è un signorotto locale in cerca di schiavi per la ricostruzione di una chiesa in memoria dei figli morti. In aiuto del giovane accorrono i due altri sopravvissuti del film precedente, Chris e Vin, ai quali si aggiungono quattro nuovi compari.

L'originale è oggi generalmente considerato come l'ultimo grande titolo del western classico americano, perlomeno a livello di successo commerciale e capacità di imporsi nell'immaginario collettivo. Il prototipo ebbe un successo strepitoso soprattutto in Europa e la presenza di futuri idoli del cinema degli anni 60 e 70 del calibro di Steve McQueen, Charles Bronson, James Coburn e Eli Wallach gli da un'aria curiosamente più moderna di quella del sequel. Erano passati solo sei anni dal film precedente, ma in effetti questo Ritorno era nato già vecchio. In un 1966 segnato da western come Il Buono il brutto il cattivo, Django e La Resa dei conti, le vicende vagamente cavalleresche e i dilemmi etici dei sette pistoleri/samurai avevano perso irrimediabilmente fascino e interesse. Infatti il film gira a vuoto e, come gli altri due sequel che verranno, ha anche il grave difetto di riprodurre in maniera pedissequa e ossessiva tutte le tappe narrative dell'originale: sopruso iniziale / arruolamento dei sette pistoleri / primo scontro / dilemmi psicologici e fraternizzazione con la popolazione / scontro finale e sacrificio.



Ma se non è un film riuscito riesce ad essere almeno un film interessante. Pur ricalcandone lo schema dura un'ora in meno dell'originale, con la sceneggiatura del futuro regista horror di culto Larry Cohen che snellisce parecchio le parti moraleggianti e punta quasi tutto sull'azione. Nell'ultima mezz'ora di film non si fa quasi altro che sparare, con un gran lavoro degli stuntman e (purtroppo) un gran stramazzare di cavalli. Il finale è mortifero e spettacolare, con un'aria quasi da war-movie. I sette lottano asserragliati in una fontana contro centinaia di avversari e il cattivo interpretato da un minaccioso Emilio Fernández esce di scena con una grande morte, forse l'unica cosa realmente memorabile del film. Interessante anche il cambio d'atmosfera rispetto all'originale. Il Messico è visto sempre come una specie di terra senza tempo medievaleggiante, ma si respira un'atmosfera triste, da tragedia permanente. Alla fine la pace ritrovata dei contadini appare una cosa  fragilie e precaria, priva di quella speranza in un'armonia universale mutuata da Kurosawa. Oltre all'influenza degli spaghetti western, probabilmente era l'aria dei tempi ad essere diventata più cupa, con i telegiornali di tutto il mondo pieni di immagini dei villaggi del Vietnam, messi a ferro e fuoco quanto e più di quelli dei poveri peone della serie.



Del cast del primo film torna solo un imbronciato Yul Brynner. Se la sostituzione di Horst Buchholz con Julián Mateos nei panni di Chico è abbastanza indolore, non si può certo dire che l'anonimo Robert Fuller non faccia rimpiangere il Vin di Steve McQueen. Incolori anche gli altri quattro nuovi "magnifici". Si fanno notare comunque un già ghignante Warren Oates, alle prese con un troppo stereotipato personaggio di pistolero donnaiolo, e un insolitamente cupo Claude Akins, futura star di commedie televisive (lo sceriffo "Lobo"). Alla fine quello che esce meglio è il già citato Emilio Fernández, che da vigore e personalità al classico capo dei bandoleros con baffoni e sombrero, e che sembra fare le prove generali del Generale Mapache de Il mucchio selvaggio.

1 commento:

  1. Riguardo a “I magnifici sette” confesso di non essere un grandissimo estimatore, nonostante l’eccezionale cast, nemmeno del primo di Sturges (troppo facilmente retorico e spettacolare e molto banalizzato rispetto al prototipo giapponese), mentre i seguiti li ricordo come uno peggiore dell’altro…

    RispondiElimina