mercoledì 17 dicembre 2014

Meek's Cutoff



2010 MEEK’S CUTOFF
di Kelly Reichardt, con Michelle Williams, Rod Rondeaux, Bruce Greenwood, Will Patton, Shirley Henderson, Paul Dano, Zoe Kazan, Neal Huff, Tommy Nelson

Il film è ambientato lunga la famosa Oregon Trail e Meek's Cutoff è il nome della scorciatoia attraverso la quale nel 1845 la guida Stephen Meek condusse duecento carri e circa mille persone a perdersi nel bel mezzo del deserto dell’Oregon, da cui non tutti riuscirono ad uscire, episodio storico che ha ispirato il film della Reichardt, con la differenza che nel suo film i carri sono solamente tre e gli attori in scena sono nove contati.

Presentato anche al Festival di Venezia del 2010, è un piccolo western davvero atipico e fuori dagli schemi, diretto verosimilmente con un budget ridotto all’osso e in controtendenza sia rispetto al genere che a tutto il cinema contemporaneo: lentissimo e con pochissimi dialoghi, senza un morto e una singola scena di violenza. Un western esistenzialista e quasi herzoghiano, fatto soprattutto di silenzi e spazi vuoti, senza “paesaggismi” e tramonti alla Malick, ma con la raffigurazione di una natura arida, selvaggia e insensibile. Nonostante non succeda praticamente niente il film riesce a non annoiare e con il suo tono scarno, essenziale e minimalista trasmette un’idea del west più concreata e reale di molte altre viste al cinema. Il finale aperto contiene tutta una metafora sull’esistenza, vista come un lungo sentiero in cui si procede a casaccio senza punti di riferimento sperando di arrivare a qualcosa ma che verosimilmente non conduce verso nulla.
(Mauro Mihich)



Affrontando per la prima volta un film in costume e di genere, per quanto preso molto alla lontana, la regista Kelly Reichardt non tradisce il suo cinema ultra-indipendente e minimalista. È anzi ad oggi il suo film più riuscito, almeno insieme al bellissimo e toccante (e sempre delittuosamente inedito in Italia) Wendy e Lucy del 2008, che vede come protagonista ancora Michelle Williams. Attrice che diventata famosa per la serie "Dawson's Creek" è poi riuscita a costruirsi un'intelligente e ragionata carriera cinematografia, come raramente riescono a fare gli attori diventati noti grazie alla televisione. Per gli standard del cinema indipendente è un film quasi all star, considerato che presenta altre facce molto conosciute, se non proprio famose, come Paul Dano, Bruce Greenwood e Will Patton.

Ruba la scena a tutti però lo sconosciuto Rod Rondeaux, nella parte di un enigmatico indiano che i pionieri catturano e obbligano a fare da guida. Faccia davvero poco convenzionale, recitazione straniante (del resto Rondeaux è prima di tutto uno stuntman) il suo è uno degli indiani più autenticamente "alieni" mai visti sullo schermo. A differenza dello stereotipo è un gran chiaccherone, ma né i personaggi né gli spettatori possono o riescono a cogliere il senso di quello che dice. Raramente è stata visualizzata con tanta potenza lo sgomento e l'incomunicabilità che i veri pionieri dovevano provare quando incontravano un indiano.



Il fulcro del film è la contrapposizione tra una donna e un universo maschile, con il personaggio di Michelle Williams che porta nel film un punto di vista femminile positivo, la cui apertura e disponibilità entrano in conflitto con lo sguardo contaminato dalla diffidenza e dal desiderio di possesso degli uomini. Il tutto senza però facili generalizzazioni. Se il polo opposto della protagonista è il cialtrone e violento Meek (e in questo senso ogni tanto il personaggio rischia di trasformarsi in caricatura: l'unico vero limite del film), gli altri uomini della caravona si rivelano molto più ragionevoli e sensibili, a cominciare dal saggio e anziano marito della Williams, mentre chi più alimenta la paranoia e la tensione è proprio una delle altre donne, la più spaventata e fragile. La stessa figura dell'indiano, per quanto positiva, non è quella del banale Buon Selvaggio, ma conserva una dose di inquietante ambiguità.

Intelligente e in controtendenza anche l'idea di trovare il realismo più attraverso il tono  prosciugato della narrazione e delle immagini che non con una certosina ricostruzione storica, anzi costumi e carri sembrano e probabilmente sono semplici costumi e oggetti da parata e sagra di paese. Il che da vita ad un West spogliato da ogni traccia di colore e mito, ma comunque di grande e rarefatto fascino.



Minuscolo e prezioso gioiellino cinematografico, forse uno dei più interessanti titoli del decennio in corso anche al di fuori del genere, probabilmente ad oggi il miglior dei per altro rarissimi western diretti da una regista donna. Non a caso, nonostante la distribuzione limitata, sembra essere diventato un piccolo cult movie citato da più parti.

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