lunedì 1 dicembre 2014

The Last Rites Of Ransom Pride



2010 THE LAST RITES OF RANSOM PRIDE
di Tiller Russell con Lizzy Caplan, Jon Foster, Cote de Pablo, Dwight Yoakam, Kris Kristofferson, Jason Priestley, W. Earl Brown, Scott Speedman, Peter Dinklage

Cosa ci può aspettare da un western esteticamente pienamente calato nel 21° secolo, con attori e costumi fashion, la fotografia monotonamente desaturata e un montaggio moderno ultra-schizzato e videoclipparo? Tutto il peggio possibile. Ma quello che all'apparenza sembra (e forse per la maggior parte delle persone è) un film sbagliato e irritante, a conti fatti è una delle poche perle da salvare nel mare di spazzatura dilettantesca che è diventato il cinema di genere a basso budget degli ultimi anni. "L'estrema unzione di Ransom Pride" (così la nostra traduzione letterale, non esiste una distribuzione italiana, anzi il film pare non sia stato distribuito da nessuna parte e anche in America sembra aver avuto pochissima circolazione) è un piccolo, affascinate circo di morte, un'operina che usa il linguaggio più patinato per mettere in scena un universo freak che non ha davvero nulla di patinato.



La storia è quella di una fuorilegge mezzosangue che nell'anno di grazia 1911 parte per il Messico alla ricerca del cadavere dell’amante - ostaggio di una bruja messicana - per dargli sepoltura in Texas nel luogo dove è nato, coinvolgendo il fratello di lui per usarlo come merce di scambio.
Qualcosa non torna negli spostamenti dei vari personaggi, con qualcuno che va avanti e indietro da un posto all'altro mentre altri ci mettono mezzo film per fare lo stesso viaggio, ma non ha molto senso chiedere troppa logica ad una storia che mette in scena un West al forte sapore di vudù e Santeria, dove i personaggi sembrano usciti da un film di Jodorowsky e i costumi sono ispirati alla saga di Mad Max per ammissione dello stesso regista, l’esordiente Tiller Russell (già attivo come documentarista), che ha anche dichiarato di essersi ispirato per lo stile ai fumetti, definendo il suo film una "graphic novel western".

Il tono del film è funereo e necrofilo, il ritmo lento e ipnotico, le atmosfere apocalittiche. Una sorta di Dead Man (senza raggiungerne la poesia) dall'estetica ribaltata. La visione del Far West è più o meno la stessa del film di Jarmush: una frontiera sordida e desolata attraversata da improvvise e immotivate esplosioni di violenza, dove il regista non si risparmia nel mettere in scena sangue, sesso, violenza e perversioni varie. Ma il risultato finale non è per nulla sensazionalista, visto che tutto sommato si racconta una storia triste e dal tono dimesso, senza troppe scene madri ridondanti e con sequenze di violenza veloci e brutali (un po' deludente in questo senso la resa dei conti finale da thrillerone qualsiasi).

La poetica freak che attraversa tutto la pellicola da vita ad alcuni bei personaggi, soprattutto tra quelli di contorno: il gigantesco motociclista nero che si becca un buco in pancia come Slim Pickens in "Pat Garrett e Billy the Kid", il nano taciturno interpretato dall'unico attore nano diventato ormai un divo, Peter Dinklage, i malinconici gemelli siamesi di cui uno morente, i due killer ricalcati (troppo) sul modello dei cacciatori di taglie di "Dead Man", l'inquietante servo indiano della bruja.



La protagonista Lizzy Caplan, con mantello rosso, cappello da ferroviere e canottiera sexi, è un personaggio tanto assurdo quanto assolutamente spettacolare. Molto più anonimo il protagonista maschile. E se è dura riconoscere la bella Cote de Pablo (nota per la serie tv NCIS) sotto il trucco sfigurante della bruja, impossibile accorgersi che sotto il trucco di uno dei killer c'è il divetto di "Beverly Hills 90210" Jason Priestley. In aggiunta ci sono due grandi icone del cinema western (e della musica country) come Dwight Yoakam, nel furente ruolo di un predicatore invasato, e soprattutto Kris Kristofferson, che fa una grande entrata in scena delle sue, una bottiglia di whisky in una mano e una ragazza mezza nuda sulle ginocchia.



Lo stile nevrotico della regia, con quei flash al limite del subliminale che interrompono continuamente la scorrevolezza della visione, fa venire in mente il nome di Tony Scott. Regista che negli ultimi anni, soprattutto in ambito di appassionati di cinema action, ha conosciuto una rivalutazione critica fin tanto esagerata. Pur avendo apprezzato e nel caso rivalutato alcuni film del regista, non ci iscriviamo tra i suoi fan, ma bisogna ammettere che, sulla distanza e (inutile nasconderlo) alla luce della sua tragica fine, il suo cinema rivela una specie di furore stilistico e un certo qual senso di frustrazione autoriale che rendono alcuni dei suoi film più interessanti di quello che sembravano all'uscita. Fatto sta che se c'è un film a cui si può accostare "The Last Rites Of Ransom Pride" è il suo delirante "Domino": un'altra pellicola ugualmente balorda, fuori registro, "sbagliata", ma anche o proprio per questo particolare, originale e a suo modo affascinante.

Produzione canadese, che nonostante la credibilissima ambientazione messicana, è stata girata nei dintorni di Calgary, nello stato dell’Alberta, in suggestivi scenari naturali. Gli stessi di altri western recenti come Gli spietati, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Open range.

Nessun commento:

Posta un commento